Da diverso tempo non partecipavamo alle benemerite cene birrarie organizzate dall’enopub Il Barbaresco di Legnano, un ciclo di incontri di grande successo alla cui inaugurazione avevamo partecipato ben 4 anni orsono. Se siamo tornati sul luogo del delitto il merito è tutto del giovane ma già premiatissimo Birrificio Sagrin di Calamandrana (Asti), che ci ha incuriosito con le sue creazioni originali e, alla prova dei fatti, non ha certo deluso le attese. I due titolari Beppe e Billy, al secolo Giuseppe Luci e Matteo Billia, con cui abbiamo avuto la fortuna di dividere il tavolo, dimostrano notevoli capacità di coinvolgere il pubblico interpretando i ruoli del “poliziotto buono e poliziotto cattivo“: pragmatico e dissacratorio il primo, filosofico e tecnico il secondo. Ma a garantire il successo del birrificio non sono certo – o almeno non soltanto – le doti affabulatorie dei suoi proprietari.
Il Birrificio Sagrin è noto soprattutto per essere tra i principali artefici della diffusione dell’IGA, uno stile birrario tutto italiano: la sigla sta per Italian Grape Ale, e identifica la birra prodotta con l’aggiunta di mosto di vino. In assenza però di un qualsivoglia disciplinare, la definizione è del tutto vaga: per farla breve, ognuno fa a suo modo, dai pionieri del birrificio Barley in poi. La scelta del Sagrin è stata quella di utilizzare una percentuale di mosto molto limitata (tra il 5% e il 10%) e di aggiungerlo direttamente in fermentazione, realizzando così prodotti che devono molto al vino per aromaticità ed equilibrio, ma che al tempo stesso conservano una fortissima identità birraria. A questo poi si aggiunge la collaborazione con aziende vinicole di grande affidabilità come Dogliotti 1870 e Valfaccenda, che assicurano la fornitura di mosto di qualità.
Arriviamo così alla cena dello scorso 23 marzo, aperta da due birre che con lo stile IGA non hanno nulla a che fare, ma che testimoniano perfettamente l’originalità e creatività del birrificio. La prima è la “piccante” Bacialè, una sfiziosa saison leggermente speziata con aromi che stupiscono anche per l’azzardato mix Nord-Sud: menta di Pancalieri e scorza di limoni di Sorrento. Perfetto anche l’abbinamento: mozzarella di bufala, zucchine alla menta e un godurioso crostino agli agrumi. Come primo piatto, i più classici maccheroncini all’amatriciana sono stati invece accompagnati dalla T.Malefica, una triple “mascherata”: tutte le caratteristiche dello stile belga, ma con in più almeno due mesi di fermentazione in bottiglia, che le conferiscono un caratteristico aroma. Birra ingannevolmente beverina ma dalla non indifferente gradazione alcolica, a cui si deve la denominazione (e per carità di patria sorvoliamo sul significato della “T”).
Entriamo finalmente nel regno delle IGA con le restanti due portate: la prima vede protagonista la famosa Roè, recentemente premiata con la medaglia di bronzo al Bruxelles Beer Challenge. Si tratta di una birra prodotta con mosto di uve Arneis, e in tal senso non lascia dubbi il marcatissimo profumo floreale: il gusto è delicato ma anche profondo, con una nota amara non indifferente. Essenziale, quest’ultima, per premiare un abbinamento in apparenza molto osé, quello con l’agnello arrosto ai cipollotti borettani: pare impossibile, ma la Roè è perfetta per temperare il sapore selvatico della carne ovina. Meno azzeccato, invece, l’ultimo abbinamento: la ciambella con mandorle, canditi e zabaione è deliziosa, ma il contrasto con l’esuberante Samos risulta eccessivo. Dolcezza e acidità finiscono per annullarsi a vicenda, lasciando la bocca praticamente neutra. Ciò nonostante, la IGA realizzata con mosto di uve Moscato lascia il segno: fresca e fruttata (ma per nulla dolce), la birra si fa apprezzare anche come aperitivo.
Attendiamo la prossima occasione per degustare le altre creazioni del Sagrin, tra cui la Monfrà con mosto di Barbera: a quanto pare trovarle in giro non è facilissimo, ma chi si trovasse in zona può rivolgersi direttamente al Barbaresco. Prosit!