L’Italia che resiste

Lo sappiamo bene: non è un momento facile quello che sta vivendo la ristorazione italiana. Non vogliamo entrare nel merito degli ultimi provvedimenti del Governo che impongono la chiusura dei ristoranti alle 18, né alimentare inutili polemiche e proteste che finiscono per essere controproducenti. L’unico commento che ci sentiamo di fare è che questa scelta – ovviamente se, e solo se, accompagnata da un adeguato sostegno economico – è comunque meno ipocrita e irresponsabile rispetto ai precedenti decreti, in cui si chiedeva ai locali di rimanere aperti incentivando però i clienti a non frequentarli.

C’è chi, a queste condizioni, non poteva sopravvivere e già prima del nuovo DPCM si era rassegnato alla chiusura: citiamo a titolo di esempio la rinomata Taverna del Leone di Positano. C’è però anche chi non si è ancora arreso alle difficoltà e sta mettendo alla prova il suo talento nello studiare soluzioni alternative, come la Trattoria da Burde: per far fronte alla situazione, dopo più di cinquant’anni di attività, per la prima volta lo storico locale fiorentino aprirà la domenica a pranzo, e a partire dall’8 novembre ha già fissato un fitto calendario di degustazioni (originariamente previste per il venerdì sera) a base di tartufi, cinghiale, Chianti Classico, Amarone, champagne e molto altro ancora. Almeno fino al 24 novembre, quando – parole del ristorante- “capiremo se il Governo continuerà con le sue insensate risposte all’emergenza o qualcuno sarà rinsavito…“.

Una soluzione alternativa l’ha cercata anche il maestro della ristorazione italiana Massimo Bottura, in una lettera al presidente del Consiglio pubblicata ieri da La Repubblica. Anche se le sue proposte – chiusura serale alle 23, liquidità in parametro ai fatturati, cassa integrazione, decontribuzione per il 2021 e abbassamento dell’aliquota Iva al 4% – ben difficilmente potranno essere accolte dall’esecutivo, le parole di Bottura meritano comunque di essere riportate: “Per uscire da questa crisi senza precedenti, abbiamo bisogno di speranza e fiducia. La speranza è quella che ci mantiene in una condizione attiva e propositiva. La fiducia è credere nelle potenzialità personali e degli altri.
La forza principale che ci ha sempre sostenuto è il sogno, non il guadagno. Oggi, senza liquidità, perché in tanti continuano a sognare con l’incasso giornaliero, molti non ce la faranno e il paese perderà una delle colonne portanti della sua identità
“. Perché, continua lo chef dell’Osteria Francescana, “io credo che oggi un ristorante, in Italia, valga una bottega rinascimentale: facciamo cultura, siamo ambasciatori dell’agricoltura, siamo il motore del turismo gastronomico, facciamo formazione, ed ora abbiamo dato inizio ad una rivoluzione culinaria “umanistica” che coinvolge il sociale“.

Le cose, tuttavia, si possono vedere anche da una prospettiva diversa, chiedendosi se davvero i ristoranti hanno fatto tutto il possibile per non ritrovarsi nelle condizioni attuali. Lo fa ad esempio Filippo Ronco, fondatore di Vinix, raccontando in un post le sue esperienze durante il periodo di apertura dei locali: “Se da un lato sono abbastanza convinto che non siano i ristoranti il luogo d’elezione dei contagi, quello che forse è mancato, come spesso avviene in questo paese, sono stati i controlli. (…) Chiaro che se sai a monte di non poter mettere in campo controlli a tappeto, non ti resta che agire con l’accetta con le inevitabili ingiustizie per coloro che si sono comportati da manuale e per colpa dei soliti scalzacani. In altre parole, più che prendersela con il governo, forse c’è da ringraziare qualche collega poco attento, ma anche qui si rischia di finire in una spirale di attribuzione di colpe che è sbagliata anche lei, fermo che in un clima di questo tipo temo che le uscite a cena si sarebbero ridotte al minimo in modo naturale anche senza DPCM“.

L’aiuto più concreto che possiamo dare alla categoria – conclude Ronco – è di cercare di rispettare al massimo le disposizioni provando ad abbattere, ciascuno nel suo piccolo, la curva dei contagi e ritornare al più presto ad una sorta di normalità“. Parole che è difficile non condividere, anche perché nel nostro piccolo in questi mesi di relativa “libertà” abbiamo potuto visitare parecchi locali e testimoniare ogni tipo di situazione, dalle più virtuose e rigorose ad altre certamente incompatibili con un’emergenza sanitaria.

Lascia un commento